Pri: verso un Congresso decisivo/Quali strade per una prospettiva futura Le nostre carte per tornare oggi a contare di Paolo Arsena "La politica è acqua tumultuosa ricondotta negli argini, non stagno dove galleggiano i tronchi marci dei nostri ideali". Questa efficace definizione di Massimo Gramellini ci suona al tempo stesso come monito per un partito immobile, con lo sguardo troppo spesso rivolto al passato, e come esortazione per il futuro, affinché le tante energie di cui ancora dispone lo incanalino verso la rinascita. D’altronde viviamo ancora da nobili decaduti, avvezzi ai costumi di un tempo, ai riti, agli agi e alle ricchezze svanite. Il partito, i suoi organi, le sue regole, sono lo specchio di questa condizione. Ma nel frattempo la società ci ha emarginato, ci ha dimenticato. Ecco che il prossimo congresso potrà scuoterci da questa inquietudine. Ma ridestarsi significa tornare tra la gente comune. Respirarne gli umori, capire cosa chiede ai partiti, cosa si attende dalla politica. Arriveremo al congresso con uno statuto modificato. Difficile definirlo "nuovo", perché i ritocchi apportati, pur necessari, non introducono elementi di vero cambiamento. Spetterà dunque alla prossima classe dirigente immaginare un partito più snello, più aperto, più vicino ai suoi iscritti. Un partito del Duemila. Un partito in cui anche il tema della trasparenza diventi centrale e trovi il giusto modo di coniugarsi. Occorre trovare una via per ridare al PRI una prospettiva futura. E paradossalmente il contesto in cui viviamo, pur scomodo e ostile, ci suggerisce qualche lampo di ottimismo e non pochi spunti per ripartire. Il perdurare, nella politica italiana, di una fase di transizione estremamente lunga e incerta, segnata da una generale condizione di debolezza e di volatilità delle forze politiche, è infatti alla base di un fenomeno di mobilità dell’elettorato, volubile nelle scelte e crescente nella decisione non andare a votare. Si tratta di un fattore di straordinaria potenzialità per chi è sparito dalla scena e può riproporsi come insolita novità. Del resto sono venuti meno i punti di riferimento tradizionali degli ultimi venti anni. Le forze minori della destra e della sinistra, in buona parte estromesse dal parlamento, si cimentano in tentativi di riaggregazione timidi e per lo più effimeri. Il PD è connaturato a una contraddizione politica che oggi si mescola al profondo ricambio generazionale in atto e si materializza nella faida per la leadership. E’ un partito sempre sull’orlo della guerra civile, che deve ancora decidere se rimanere un contenitore senz’anima, frutto della media al ribasso tra le varie fazioni che lo compongono, o se virare verso una direzione precisa (liberal, laburista o socialdemocratica), sul cui tragitto però cova sempre lo spauracchio di una scissione. Il PdL si regge politicamente non più sui numeri (che marcano un progressivo e pesante declino elettorale dal 2008 ad oggi), ma sull’inabilità politica dei suoi avversari. Non dimentichiamo che dopo le elezioni di febbraio Berlusconi era potenzialmente morto, e solo il fallimento di Bersani e la totale insipienza politica dei grillini sono state in grado di rianimarlo, conferendogli un ruolo ancora centrale. Il Cavaliere ha gioco facile a fare di necessità virtù: deve mascherare le proprie enormi responsabilità di governo degli ultimi dieci anni (che pesano come un macigno sulla crisi in atto), e deve mantenere uno status politico sufficientemente incisivo per sperare di non crollare sotto il peso delle condanne. Da qui la sua aura inedita di padre nobile, di statista responsabile che promuove e sostiene un governo di larghe intese, da far intendere "nell’esclusivo interesse del Paese". Ma il dopo-Berlusconi resta un problema e il centrodestra è destinato alla deflagrazione, perché non ha un partito, non ha un altro leader, non ha un elettorato che sappia prescindere dal Cavaliere. Sul Movimento 5 Stelle c’è poco da dire. Non è una sorpresa assistere al dilettantismo, all’ipocrisia e all’infantilismo di un gruppo di sprovveduti annunciati. Grillo, dal canto suo, indomabile autocrate populista, sta disperdendo il consenso acquisito, nel segno della cattiveria e dell’inconcludenza. Lo sfogatoio "a cinque stelle", come previsto, durerà al massimo la parentesi di una legislatura. Infine, il centro è alla continua ricerca del proprio spazio vitale. Mario Monti si è rivelato in principio un coraggioso riformatore, ma alla distanza un pessimo politico, e la sua creatura rischia di non sopravvivere. Ma quel terreno distinto dai grandi partiti di destra e di sinistra continua ad essere fertile, in un clima di disarmo tra le fazioni e di generale insofferenza verso le forze che hanno fallito nella Seconda Repubblica. Se tutti i partiti vacillano, se l’elettore cerca qualcosa di diverso, se esiste un terreno tutt’oggi libero per costruire la propria casa, il PRI ha ancora in mano le carte da giocare. Tutte, tranne una: la costituente liberaldemocratica. Un asso calato male, valso come il due di picche. Non si vuole qui criticare la sostanza del progetto liberaldemocratico. Sotto questo profilo si può anzi riconoscere al partito sia di aver avviato un importante cantiere programmatico, sia di aver sottolineato con decisione l’identità politica che ci appartiene. Ma è risultata vana l’illusione di spendere un vecchio simbolo per una formula, la "Costituente Liberaldemocratica" appunto, che richiama le eco politichesi del passato. Una formula, tra l’altro, disgiunta da una collocazione politica che ne rendesse meno pretenziosa l’esclusività, e che marcasse con forza la differenza con la destra sedicente "liberale" e con la sinistra sedicente "democratica". Guai poi, se la liberaldemocrazia diventasse un mantra, un’ossessione ideologica scollata dalla realtà. Le nostre buone carte, piuttosto, sono quelle che sanno coniugare la garanzia del vecchio marchio repubblicano con l’immagine chiara di una vera novità politica: quella di un partito antico che raccoglie la sfida del nuovo. Il PRI di domani deve comprendere che solo incarnando con estrema coerenza le giuste istanze di cambiamento e di buona politica invocate dall’opinione pubblica, sarà possibile spendere la nostra solida tradizione ideale e di partito, in brillante contrasto con l’effimera temporaneità di gran parte dell’offerta odierna. Dovremo farlo anzitutto sotto il profilo formale, attualizzando la nostra idea di partito e rinverdendo la classe dirigente. E insieme sotto quello propositivo, affiancando alle tematiche della crisi riflessioni e proposte sulle questioni cruciali più scomode, lasciate in ombra dal dibattito. Si pensi ad esempio al tema dell’integrazione e ai tanti suoi risvolti che informano il concetto di laicità, in una società che è sempre più multiculturale, anche se finge di non saperlo. Oppure a quello di una riforma radicale e non convenzionale della pubblica amministrazione, che passi per l’abolizione dei concorsi pubblici, per la ristrutturazione capillare dei suoi organismi, per la messa a frutto delle professionalità interne, per i licenziamenti, per la sburocratizzazione: in buona sostanza per l’assimilazione del suo apparato ai più avanzati modelli aziendali. Consci della nostra vocazione minoritaria, che sappiamo valorizzare come punto di forza, avremo un ruolo e un futuro se sapremo rinnovarci e se al contempo staremo un passo avanti sulle grandi questioni e sulle proposte, dando voce ai problemi insoluti che i partiti di massa, per fisiologico tornaconto elettorale, non vogliono e non possono sciogliere. E’ così, coi fatti, che potremo declinare la nostra identità. Con l’ambizione non di "definirci" ma di "essere definiti" di stampo democratico e liberale. Queste sono le basi affinché il prossimo congresso possa segnare il sospirato punto di svolta. È su questi obiettivi di rigenerazione personale e politica che possiamo costruire una finalità unitaria, scrollandoci le diatribe del passato e scovando al nostro interno tutte le risorse in grado di rilanciarci. Non è più il tempo delle attese, dobbiamo metterci in gioco sul serio. Per tornare non più a contarci ma a contare, nella politica che conta. |